I sogni, si dice, sono messaggeri dell’inconscio, raccontano attraverso immagini, parole, emozioni il mondo che sta sotto la nostra ordinaria coscienza della realtà. Proprio come i messaggeri dell’antica Grecia, i sogni compiono un lungo e periglioso viaggio attraverso l’arcipelago emotivo della psiche per portare lumi, informazioni, notizie da un luogo a un altro.
A tutti è capitato di ricordare un sogno ma molto spesso il suo linguaggio è così bizzarro, criptico talvolta persino oscuro che la coscienza, fatica a comprenderlo e a integrarlo nelle sue cognizioni e così ne tralascia il contenuto o parti di esso.
Eppure, il valore dei sogni è riconosciuto fin dall’antichità, quando si consideravano ispirati dagli dèi. Oggi non hanno la stessa valenza sacra ma la psicologia ci dice che conservano qualcosa di ugualmente prezioso: i sogni offrono un aggiornamento quotidiano sullo stato del nostro sistema psichico, rielaborano cioè impronte emotive di ciò che abbiamo vissuto di recente, insieme a tracce di ricordi molto più lontani nel tempo ma affini dal punto di vista della tonalità affettiva, fino a includere talvolta anche elementi che non nascono dalla nostra esperienza diretta ma derivano da un arcaico giacimento emotivo-istintuale e immaginifico-simbolico della psiche collettiva.
Proprio per questa sua complessa tessitura, che interseca più piani e orizzonti, il sogno si presenta quasi come un sistema di pensiero che ha una memoria del passato, un’intuizione del presente e un’aspettativa per il futuro, ha dei propri meccanismi di funzionamento e potremmo dire, una sua intelligenza, che il lavoro di interpretazione, inesauribile, cerca di dipanare.
È noto il caso di un paziente che sognò, dopo una lite con un collega di lavoro, due gatti che si rincorrevano nella sua casa d’infanzia. I due si avvicinavano minacciosi, ma dopo qualche rincorsa, desistevano dalla lotta e si ignoravano pacificamente. Il paziente si diceva colpito dal repentino cambiamento di emozione che viveva come spettatore: prima il timore che i gatti si azzuffassero e poi l’impressione che si fosse trattato quasi di un rito territoriale codificato.
Il sogno ri-raccontava in parte le emozioni vissute nella diatriba con il collega di lavoro, ma l’ambientazione nella casa d’infanzia rievocava anche i ricordi delle dispute tra i suoi genitori, che il paziente aveva vissuto da piccolo con timore e senza una adeguata rassicurazione; ma che ora stava iniziando a rileggere, alla luce del suo processo di emancipazione, come la possibilità di una sfida ritualizzata nella quale ciascuno dei contendenti scopriva il suo spazio. La figura del gatto nel sogno attinge ad un patrimonio di valori collettivi che hanno a che fare con l’autonomia e la capacità di soddisfare i propri bisogni, oltre che con una parte istintuale, schiva e anche sanamente orientata al sé della psiche. Il sogno stava dunque mostrando al paziente che la paura dell’aggressività non regolata a cui aveva assistito da piccolo (e che aveva affrontato in psicoterapia facendo fluire le sue complesse emozioni) stava lasciando il posto al riconoscimento che i suoi bisogni e la sua autonomia potevano trovare uno spazio anche attraverso la manifestazione, regolamentata, di una certa assertività (ad esempio con il collega di lavoro) che ora poteva essere accettata e utilizzata per gli scopi del sé.
Ovviamente, non sempre i sogni sono così limpidi e molto spesso la comprensione che possiamo averne rimane parziale o indefinita, ricordandoci il mistero che siamo; tuttavia, cercare una traccia è l’inizio di un percorso che dà valore alla nostra complessa natura.
Jung ci dice che l’inconscio viene avvertito con maggiore pericolosità nella misura in cui lo reprimiamo, “mentre ciò diminuisce nel momento stesso in cui il paziente comincia ad assimilare i contenuti che erano inconsci” (1934, p. 164), fino al punto in cui, in virtù di un assiduo lavoro di interpretazione e integrazione, può acquisire la sua funzione più autentica, ovvero “il sogno come organo di informazione e di controllo (…) lo strumento più efficace per la formazione della personalità” (1934, p. 165). Il sogno diventa allora un linguaggio, solo apparentemente caotico e indecifrabile, che custodisce in realtà un’in-formazione capace di dare forma e organizzare il materiale psichico attorno al nucleo della personalità cosciente che, in questo modo, si allarga.
In psicoterapia, infatti, ci si prende cura di ciò che si conosce di meno. Sono le parti nascoste, quelle più antiche, remote, dolenti, apparentemente marginali, oppure quelle attuali ma acerbe, potenziali, non ancora sviluppate che chiedono di essere comprese e accolte nel più ampio progetto di vita che ciascuno ha in serbo per sé.
L’immagine del messaggero, in perpetuo movimento, che si reca fino nelle zone più remote del regno per portare un messaggio descrive bene il viaggio che si compie in una psicoterapia, avanti e indietro tra sé e il mondo, tra emozioni e pensieri, conscio e inconscio, tra passato e futuro affinché i contenuti che popolano la psiche possano sentirsi parte di una coscienza sempre più integrale e integrata.
Jung C.G. (1934), L’applicabilità pratica dell’analisi dei sogni, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, Vol. 16.
A cura di Costanza Ratti